Un graduale superamento della tipologia delle collaborazioni a progetto. Un generale ripensamento della struttura delle collaborazioni coordinate e continuative, per renderle una forma genuina di rapporto flessibile. Verso la cancellazione delle associazioni in partecipazione. Braccio di ferro sulla sorte del lavoro intermittente (a chiamata): la maggioranza è divisa tra quanti vorrebbero salvarlo, mentre il ministero del Lavoro è orientato all'eliminazione per sostituirlo con un allargamento del voucher per il lavoro accessorio e (più difficile) del part-time.
Sono queste le ultime indiscrezioni che arrivano dai tavoli tecnici in vista del consiglio dei ministri del 20 febbraio che - secondo quanto annunciato dallo stesso ministro del Lavoro Giuliano Poletti - esaminerà il decreto attuativo del Jobs act che riguarda «il codice dei contratti, ossia la revisione delle tipologie contrattuali». Alla riunione di Governo del 20 febbraio potrebbero arrivare anche il Dlgs con la revisione degli incentivi e il provvedimento sulla conciliazione vita-lavoro. Più in salita è la strada del Dlgs sulla riforma degli ammortizzatori, mentre il provvedimento che dovrà riscrivere le politiche attive, con il decollo dell'Agenzia nazionale, slitterà quasi sicuramente in primavera.
Sul fronte del riordino dei contratti, da quanto si apprende non dovrebbero esserci modifiche sostanziali al contatto a termine, ma solo ulteriori semplificazioni normative visto che è stato già liberalizzato a maggio dal decreto Poletti. Sull'apprendistato si va verso una robusta semplificazione degli adempimenti formativi a carico delle imprese e verso un azzeramento dei costi e delle quote obbligatorie di stabilizzazione per il 1° e il 3° livello (cioè l'apprendistato per il diploma e la qualifica professionale e di alta formazione), come anticipato dal Sole 24 Ore del 30 gennaio.
Giovedì prossimo è previsto un nuovo incontro al ministero del Lavoro, al quale parteciperanno anche i tecnici di Palazzo Chigi. Il faccia a faccia servirà probabilmente anche a chiarire se questa impostazione verrà confermata nel testo finale che sarà portato in consiglio dei ministri. Il nodo principale infatti è rappresentato dalle divisioni all'interno della maggioranza di governo.
L'ala centrista di Area popolare e Scelta civica è contraria al taglio secco delle tipologie contrattuali: «Il ministro Poletti deve esercitare la delega per la redazione di un testo unico riferito non solo alle tipologie contrattuali ma, come hanno poi voluto le Camere, anche al contenuto dei rapporti di lavoro - afferma il presidente della commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi (Ap) -. Una sorta di nuovo Statuto sostitutivo di quello prodotto nel 1970 con la sola eccezione della parte relativa alle relazioni industriali. Un eventuale irrigidimento ulteriore delle tipologie contrattuali, combinato con la flessibilità in uscita incerta e limitata del primo decreto, produrrebbe l'effetto negativo già sperimentato con la legge Fornero. Sarebbe inaccettabile, bruceremmo ancora posti di lavoro».
Una posizione analoga è espressa dal giuslavorisa Pietro Ichino (Sc): «Il codice semplificato del lavoro rappresenta il piatto forte del Jobs act - spiega - ed è tecnicamente maturo per essere varato, l'impegno non solo è contenuto nella legge delega ma anche nella premessa del decreto Poletti approvato a maggio».
Replica il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd): «Non è affatto un irrigidimento il voler introdurre nuove norme che possono fare pulizia sulle tipologie contrattuali, cancellando le forme spurie di flessibilità e di falso lavoro autonomo». Sulla stessa lunghezza d'onda la Cisl, per voce del segretario confederale, Gigi Petteni: «Speriamo che il Governo definisca, con alcune modifiche, i decreti sul contratto a tutele crescenti e l'Aspi, intervenendo seriamente sulle tipologie contrattuali che in questi anni hanno creato la vera precarietà del lavoro, soprattutto dei giovani».
Quanto ai primi due decreti legislativi attuativi del Jobs act, su articolo 18 e nuova Aspi, dalla commissione Lavoro della Camera il parere arriverà tra l'11 e il 12, ultimo giorno utile, mentre dalla commissione Lavoro del Senato potrebbe arrivare già questa settimana, quanto meno sul decreto che introduce il contratto a tutele crescenti.
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