THE EVIL WITHIN – RECENSIONE
Titolo: The Evil Within
Sviluppatore: Tango Gameworks
Distributore: Warner Bros. Interactive entertainment.
Data di uscita: 14 ottobre 2014
Piattaforma: PC, PS3, Ps4, Xbox 360, Xbox One
Numero di giocatori: Singolo
Sviluppatore: Tango Gameworks
Distributore: Warner Bros. Interactive entertainment.
Data di uscita: 14 ottobre 2014
Piattaforma: PC, PS3, Ps4, Xbox 360, Xbox One
Numero di giocatori: Singolo
Nel lontano marzo del 2005, dopo quasi sei anni di sviluppo, Capcom e il geniale game designer Shinji Mikami rilasciano in esclusiva (rivelatasi decisamente temporanea) per GameCube una delle pietre miliari della Storia videoludica, Resident Evil 4. Un capolavoro intramontabile, che al contempo diede il via ad una serie di eventi che andarono irrimediabilmente a ridefinire totalmente un genere, quello dei survival horror, che fino a quel periodo vantava un discreto successo di pubblico. La prima vittima illustre che non seppe sfruttare appieno l’eredità lasciata da questo titolo fu paradossalmente la stessaCapcom e la sua saga di punta Resident Evil, la quale, dopo la partenza di Mikami, piombò in un letargo così profondo da durare tutt’ora. E di li a poco, fu un ecatombe e il parziale riassestamento del genere survival horror. Inaspettatamente nel 2008, un team del colossoEA, Redwood Shores, oggi conosciuto come Visceral Games, realizzò il fanta-horror Dead Spacedimostrando al mondo che era possibile ripartire dalle solidissime basi di Resident Evil 4 e creare horror di livello altissimo senza perdersi nelle nuove meccaniche action introdotte dal gioco (tra l’altro riprese da tutti i giochi in terza persona sia di ieri che di oggi). Dopo un’iniziale successo con i primi due capitoli della serie, anche Dead Space cominciò a perdere smalto, con un terzo capitolo molto più improntato all’azione che riaprì i dubbi sull’effettiva morte del genere, nonostante l’importante apporto del settore indie, che, seppur in piccole dosi, riuscì a mantenere in vita il survival horror. Nel frattempo, lo stesso Mikami, nonostante fosse consapevole di aver creato un vero e proprio gioiello del mondo dei videogame, non riusciva a darsi pace di non aver potuto realizzare il vero Resident Evil 4 che lui aveva originariamente pensato (a causa delle pressioni di Capcom ai tempi dello sviluppo). Così, dopo aver girovagato silenziosamente per il settore videoludico con giochi come Vanquish e Shadows of the Damned, ecco che nel 2013 il padre dei survival horror accompagnato dal suo nuovo team Tango Gameworks annuncia, in collaborazione conBethesda, il suo ritorno nel genere da lui stesso creato: The Evil Within. Un anno dopo, eccoci qui a recensire l’ultima opera del Maestro dell’orrore. Sarà valsa la pena aspettare?
Losing our minds
Dopo questa lunga introduzione, parliamo finalmente di questo The Evil Within, partendo dalla trama. Se siete fan di vecchia data di Resident Evil, una delle cose che saprete sicuramente è che la trama non ha mai avuto (se non in particolari casi) una grande rilevanza all’interno dei giochi griffati Mikami. In The Evil Within, sorprendentemente, abbiamo potuto constatare una discreta cura per il plot narrativo. Nonostante sia ben giusto chiarire che non ci troviamo di fronte una sceneggiatura da oscar, possiamo sicuramente confermare che è stato svolto un buon lavoro per coinvolgere il giocatore a progredire nei quindici capitoli che compongono la campagna del titolo Bethesda. Tutto ha inizio in una piovosa giornata nei pressi della fittizia cittadina di Krimson City, dove il detective Sebastian Castellanos e i suoi due colleghi vengono chiamati d’urgenza a recarsi presso il Beacon Mental Hospital. Una volta giunti sul luogo, i poliziotti scoprono che l’istituto di sanità mentale è teatro di un raccapricciante genocidio di pazienti, inservienti e altri agenti di polizia. Analizzando la scena del crimine in attesa di rinforzi, Sebastian trova un nastro contenente le registrazioni precedenti al delitto, dove è possibile notare un losco individuo tramortire a morte tre agenti. Neanche il tempo di preoccuparsi, ed ecco che l’uomo apparentemente responsabile del delitto colpisce alle spalle il nostro eroe, facendolo svenire. È l’inizio di un incubo nel quale mondo reale e surreale si alternano ad intervalli regolari senza far realmente capire al giocatore la sostanziale differenza tra i due.
Tutti a lezione
Fatti i giusti accenni alla trama, veniamo ora al cuore pulsante dell’opera horror di Mikami, il gameplay, di cui parleremo in questo e nei seguenti paragrafi. In The Evil Within c’è molto di Resident Evil 4, e della serie in generale, e questo non può che essere un bene. Non ce ne vogliano il quinto e sesto capitolo della saga, ma verrebbe da dire che The Evil Within è il miglior Resident Evil dopo la pubblicazione del quarto. Partiamo dal feeling con il nostro alter ego digitale. Sebastian, nonostante sia un detective ed agente sul campo di lunga data, non è un macho man in grado di fare a pezzi qualsiasi cosa si ritrovi ad affrontare, bensì si comporta esattamente come una persona normale farebbe in una situazione del genere. I suoi movimenti sono piuttosto goffi (malgrado un certo atletismo di fondo), per una scelta voluta appositamente dagli sviluppatori per non consegnare il solito super atleta in grado di far sentire onnipotente anche una scimmia al controller dopo un po’ di pratica e per accentuare il realismo (che per molti oggigiorno significa solo grafica, sbavando per texture ultra definite piuttosto che per un vero senso di realismo tra le mani ndr). Inoltre, la mira del nostro Sebastian non è precisa al millimetro, sbilanciata dal movimento involontario delle mani, anche qui scelta ponderata, per evidenziare come il personaggio sia soggetto a tensione e ansia durante il puntamento dell’arma verso una creatura da incubo. Questi due particolari sono stati criticati da molti durante queste prime settimane di rilascio, ma, sinceramente, dovrebbero essere pregi piuttosto che difetti, dato che stiamo parlando di Survival Horror e non di action alla Uncharted, dove il protagonista è praticamente un dio in terra. Giusto per chiarire, mettere in dubbio queste meccaniche (difficoltà di movimento e di mira), da sempre parte integrante di una buona esperienza di sopravvivenza in un mondo terrificante, probabilmente significa avere una quanto meno scarsa conoscenza del genere e un bel ripasso generale non farebbe male a nessuno. Critiche inutili contando che, grazie all’eccellente sistema di power up del personaggio presente nel titolo, è possibile ridurre sensibilmente questa oscillazione e rendere la mira più stabile, oltre alle altre numerose caratteristiche potenziabili. Il soothing system rimane eccellente, la degna evoluzione survival del sistema di Resident Evil 4.
Varietà dell’orrore
La parola d’ordine di The Evil Within è sicuramente “varietà”, di situazioni e soprattutto di approccio. Il già ottimo sistema sparacchino si alterna sapientemente alle meccaniche stealth introdotte nel titolo, che ricordano da vicino quelle ammirate in The Last of Us. Questa dualità del titolo è dovuta al fatto che le munizioni sono tutt’altro che abbondanti all’interno del mondo di gioco, invogliando il giocatore a comprendere quando è il momento di dare sfoggio del proprio arsenale e quando posare la pistola e agire nell’oscurità. L’introduzione più bella e soprattutto originale riguarda le trappole. Gli scenari di gioco sono letteralmente pieni di marchingegni in grado di farci molto male… ma procediamo con ordine. Per prima cosa, tutte le trappole possono avere una doppia valenza: possono essere disattivate o utilizzate a nostro vantaggio contro i nostri avversari. Se si decide di scomporle, otterremo dei componenti che ci permetteranno di creare i dardi per la nostra balestra Agonia, arma di un ecclettismo devastante, con la quale escogitare a nostra volta un vero e proprio campo minato per i nemici. I dardi di Agonia sono ben sette, e svolgono un sacco di funzioni, dal semplice arpione ad una bomba di prossimità posta sulla punta del dardo, fino ad arrivare perfino a dardi congelanti e velenosi. Insomma, quando un’arma da sola rappresenta così bene lo stile del gioco c’è solo da applaudire e basta. Un fattore, questo, che viene enfatizzato durante le boss fight, moltissime e alcune veramente ispiratissime, dove aver la meglio sul bestione di turno non significa per forza di cose bombardarlo di piombo, ma organizzare una giusta strategia con la quale avere la meglio con il minimo spreco di munizioni. Non abbiamo ancora finito qui per quanto riguarda la varietà. Spesso, durante il primo playthrough, ci si ritroverà davanti ad avversari troppo forti o insistenti per noi, che dovremo lasciar perdere inizialmente, ma una volta finito il gioco e potenziati a dovere, potremo tornare (anche grazie alla libera scelta dei capitoli una volta terminato il titolo almeno una volta) e batterli, ottenendo diverse ricompense più o meno utili. Questa è varietà, signori, e al giorno d’oggi è merce rara.
Voglia di gel
In The Evil Within è possibile ritrovare in casse e sui corpi dei nemici una particolare sostanza, denominata gel verde. In che cosa consiste? Beh, è a tutti gli effetti la valuta con la quale poter potenziare le caratteristiche e le armi a nostra disposizione. Un sistema di potenziamento che prima abbiamo solo accennato e del quale in questo paragrafo parliamo approfonditamente. I potenziamenti sono suddivise in quattro categorie ben distinte: abilità, armi, riserva e dardi agonia. Le abilità riguardano principalmente Sebastian, dalla vita alla stamina disponibile per gli scatti per sfuggire ai temibili orrori disseminati nel mondo di The Evil Within. Potenziando le armi è possibile diminuire la “criticata” oscillazione durante il puntamento delle armi, aumentare le munizioni nel caricatore, i danni e i danni critici. Scegliendo di potenziare la sezione riserva, si aumentano le munizioni trasportabili delle armi, le riserve di stringhe, con le quali ricaricare la barra vitale in caso di necessità, e i fiammiferi (dei quali parleremo tra poco). Infine, arriviamo ai dardi per Agonia, aumentando la gittata, l’area di impatto e via dicendo. Potenziamenti per tutti i gusti.
Vecchia scuola
Una delle cose che più ci ha fatto piacere trovare in The Evil Within sono i rimandi al passato di questo genere e delle saga di Resident Evil in generale. Citazioni che coinvolgono un po’ tutto il gioco: si passa da un capitolo evidentemente ispirato al capostipite della serieCapcom fino ad arrivare a due meccaniche che non fanno semplicemente comparsa, ma che diventano parte integrante di questa nuova opera di Shinji Mikami. La prima meccanica riguarda i fiammiferi. Come in Resident Evil Rebirth, il remake del primo capitolo per GameCube, in dirittura d’arrivo sulle console Sony e Microsoft in versione HD nei prossimi mesi, i nemici, una volta sconfitti possono essere bruciati. Questo procedimento evita ai nostri avversari eliminati in maniera non letale di resuscitare e crearci ulteriori problemi. Come tutte le risorse del gioco, anche i fiammiferi sono piuttosto rari da trovare e utilizzarli in maniera consapevole fa tutta la differenza del mondo. La seconda meccanica, che potremmo definire nostalgica, sono gli specchi, oggetti che ci permettono di trasportarci all’hub centrale del gioco, nel quale trovare oggetti collezionabili, la macchina dove attuare i potenziamenti e soprattutto salvare la partita. Sarà, ma io ancora oggi in giochi come questi prediligo i salvataggi manuali rispetto a quelli automatici (comunque presenti, garantendo checkpoint piuttosto equilibrati tra un salvataggio e l’altro). Gli specchi sono situati in zone sicure e il modo migliore per trovarle è usando l’udito, recandosi verso le dolci note di “Clair de Lune” di Claude Debussy, creando un’atmosfera piuttosto surreale. Tanto vecchia scuola, ok, ma di un impatto notevole.
L’arte del male
Veniamo a quello che riguarda gli aspetti artistici e tecnici del gioco. Partiamo dal comparto grafico/tecnico, vero e proprio neo all’interno della produzione di The Evil Within. La grafica, nonostante non giri a 1080p, non è malvagia, grazie anche ad effetti di luce di grande effetto e alle zone piuttosto buie che nascondo texture un po’ bruttine in alcuni casi. Nulla da dire per quanto riguarda le ambientazioni, uno dei numerosi fiori all’occhiello della produzione Tango Gameworks. Il motore grafico è evidentemente stato pensato per le console di vecchia generazione e su new gen e PC si vede. In più, dove la grafica ha alti e bassi (soprattutto nei filmati con pop up piuttosto evidenti) ci pensa il frame rate ballerino a inficiare ulteriormente l’opera sotto l’aspetto tecnico. Ottimo invece il sonoro, decisamente uno dei migliori degli ultimi anni, regalando al gioco un’atmosfera incredibile e di grande impatto.
Pure Evil
Possiamo dire ad occhi chiusi che The Evil Within è uno dei migliori esponenti del genere survival horror degli ultimi anni. Un gioco equilibrato, dotato di un connubio game design/level design veramente di altissimo livello. Un gameplay che non introduce nulla di nuovo, d’accordo, ma che unisce sapientemente lo stile di Resident Evil 4 con le meccaniche survival di The Last of Us, risultando di una completezza incredibile, checché se ne dica in giro. Peccato per le magagne tecniche che non possono non inficiare il voto finale. The Evil Within dimostra che si può creare un vero survival horror ancora oggi, senza se e senza ma. Un titolo imprescindibile per gli amanti del genere, un degno erede di Resident Evil 4.
Giudizio Finale
Fattore X: Genere=Survival Horror: The Evil Within è uno dei migliori survival horror degli ultimi anni.
Maggiori informazioni sul sistema di valutazione a questo indirizzo.